Tra Seconda Guerra mondiale ed esodo dalmata: memoria presente tra i nostri alunni. Quando la collaborazione scuola – famiglia fa lezione di Cittadinanza e memoria attiva

Mia Nonna è  nata il 27 marzo 1936 a Nimis (UD), un piccolo paese vicino al confine sloveno (Ex Jugoslavia).

L’apice della guerra arriva nel paese di mia nonna nel 1944. Dopo aver vissuto un periodo di difficoltà economiche dovute alla guerra stessa, scarsità di cibo, carenza di strutture pubbliche quali ospedali, scuole…  la guerra arriva in paese con l’occupazione da parte dei “cosacchi” per il controllo del territorio in sostituzione ai tedeschi.

Già  da due anni, una parte della popolazione italiana, iniziava ad organizzarsi diversamente da quella che era l’alleanza con la Germania. Con la formazione di bande partigiane vengono a formarsi le brigate Osoppo e Garibaldi, in queste organizzazioni si potevano arruolare uomini di tutte l’età, tra questi c’erano anche ragazzi molto giovani di 15 anni circa, come un cugino di mia nonna o come il papà  che aveva 44 anni.

I tedeschi, dopo i fatti dell’otto settembre, invadono l’Italia e per tenere il controllo di alcune zone del Friuli Venezia Giulia utilizzano i cosacchi. I tedeschi avevano promesso ai cosacchi che vincendo la guerra il Friuli sarebbe rimasta la loro terra in cui vivere. I cosacchi accettarono, in quanto essendo “zaristi” sarebbero stati eliminati dai russi se avessero fatto ritorno in patria e pertanto si erano rifugiati in Germania, la quale li aveva accolti e dato loro quest’ultimo compito di occupazione. I cosacchi avevano il compito di tenere il presidio nei paesi del Friuli ove erano presenti partigiani. Come ricorda mia nonna, i cosacchi vivevano in gruppi familiari e alloggiavano in carovane, erano mal armati dai tedeschi, con armi di scarto e spesso mal funzionanti, erano soliti saccheggiare le case per procurarsi cibo e quant’altro. Tra vari ricordi di mia nonna legati a quel periodo c’è  il posizionamento di un cannone di fronte a casa sua, utilizzato da dai mongoli, anche essi associati ai tedeschi, che sparava contro la Ex Jugoslavia di “Tito”. I bambini, compresa mia nonna, stavano a guardare la partenza delle cannonate fino a che i genitori non li richiamavano in casa. Un altro ricordo importante di mia nonna fu quando sua mamma e una zia mentre stendevano al sole la biancheria ed essendo la casa situata vicino ai boschi, i cosacchi pensarono che la stesura dei panni fosse segnalazioni ai partigiani. Per questo fatto furono messe alla fucilazioni, se non che un cosacco siccome più volte si era fatto fare da queste donne lavori di sartoria risparmiò loro la vita non facendole fucilare.

I partigiani vivevano tra i boschi, ed erano al corrente di come i cosacchi si comportavano in paese, di conseguenza decisero di unire le due fazioni (Garibaldi e Osoppo) per avere la forza militare di scacciarli. I partigiani riuscirono nell’impresa e i cosacchi furono costretti a scappare e abbandonare Nimis, Attimis e Faedis i tre paesi principali situati in confine con la Ex Jugoslavia e che per la loro vicinanza a colline e zone boschive favorivano lo stanziamento di partigiani in gran numero, perché qui riuscivano meglio a nascondersi. I tedeschi, molto ben organizzati militarmente, dopo avere inutilmente tentato di bloccare la ritirata dei cosacchi, immediatamente inviarono i rinforzi dal comando che era situato a Trieste. Nel giro di poco tempo arrivarono nei tre paesi. Evacuarono i paesi sopra citati, incolonnarono tutta la popolazione e all’uscita dei paesi furono selezionati i giovani, i maschi portati nei campi di concentramento, le donne nelle fabbriche tedesche per la costruzione di bombe, in quanto fabbriche pericolose utilizzavo i prigionieri. In un primo momento pensavano di deportare tutti in Germania nei campi di concentramento, in seguito decisero che la gente anziana e i giovanissimi, venissero liberati e detto loro di andarsene, allo stesso tempo vennero bruciati i paesi compresi stalle piene di animali e foraggi, dando la possibilità  alla gente di raccoglie oggetti personali che potessero essere trasportati autonomamente.

Nella deportazione in Germania nei campi di concentramento, mia nonna ricorda il proprio zio che morì poco dopo a “Dachau”. Una sola persona di Nimis si salvò dal campo di concentramento, si trattava di un giornalista che raccontò  poi in futuro queste vicissitudini. Durante il periodo nel quale i tedeschi erano stanziati nei tre paesi, la gente del posto come racconta mia nonna doveva andare in giro vagabondando per i paesi limitrofi, elemosinando e cercando alloggio e qualcosa da mangiare.

Di quel periodo mia nonna ricorda quando lei sola, in quanto le altre due sorelle erano ancora troppo piccole, e sua mamma, raggirarono il paese e i cosacchi presenti, per recarsi alla loro abitazione per vedere ciò che era rimasto dopo l’incendio. Trovarono la distruzione di tutte le abitazioni e vicino casa poterono vedere un cadavere semi sepolto di un omonimo del padre della famiglia in quanto era ricercato perché  faceva parte della brigata Osoppo. Il nonno fu in seguito preso in altri rastrellamenti, fu fatto prigioniero e messo alla fucilazione se non che un tedesco presente lo riconobbe come carceriere in un'altra occasione, e ricordando come fu trattato da prigioniere riuscì a liberarlo.

Questo stile di vita durò  all’incirca un anno, fino alla fine della guerra in aprile del 1945. Per quanto fosse finita la guerra i problemi nel Friuli non cessarono. La gente precedentemente evacuata iniziò il rientro nei paesi precedentemente bruciati. Iniziò la ricostruzione delle case civili. La Svizzera, in questa emergenza, fornì delle baracche per poter far vivere le persone il più  possibile vicino alle zone lavorative. I problemi rimasero per il confine con Tito, il quale, essendo vittorioso su di noi italiani, e avendo aiutato molto la zona del Friuli con i suoi partigiani per sconfiggere i tedeschi, pretendeva di portare il suo confine fino al fiume Tagliamento, ovvero gran parte del Friuli. Per quanto questo non accadde mai, la paura che accadesse in quegli anni era molta. Fin a che non si arrivò al 1954 con il trattato di “Osimo”, lo Stato per paura di dover concedere il territorio e le eventuali industrie, proibì lo sviluppo nel Friuli e così tolto case civili non si poteva costruire fabbriche per dar lavoro alla gente del posto. Molte persone non avendo lavoro furono costrette ad emigrare. Nella famiglia di mia nonna il primo ad emigrare fu il padre, dopo di che fecero lo stesso le tre figlie in ordine con il raggiungimento dei 18 anni, età  minima per essere accettati a lavorare in svizzera. Mia nonna e le due sue sorelle lavorarono in Svizzera in una fabbrica che produceva dei pezzi di automazione.

Per quanto le cose potessero andare bene la ricostruzione di questi tre paesi rasi al suolo dagli incendi fu fatta senza tener conto del fatto che si trovassero in zona sismica, e nel 1976 il Friuli fu duramente colpito dal terremoto e questi tre paesi furono nuovamente distrutti. Mia nonna si trovò  al di fuori di tutto ciò  perché da emigrata incontrò mio nonno, anche esso emigrato in svizzera per non dover lavorare in miniera. Nel corso degli anni si sposarono ed ebbero un figlio. Rientrarono in Italia visto che le prospettive di lavoro erano migliorate, intrapresero un’attività commerciale, gestirono una pensione a Collio Val Trompia paese di origine di mio nonno, zona che ai tempi era turistica per via del grosso successo di una stazione sciistica.

Edalini Marco 5B